Lettera aperta dell'avvocato che si scaglia contro la posizione di Confindustria
"L'INDIPENDENZA CI DANNEGGIA?": FOGLIATA RISPONDE A ZUCCATO
"L'immagine del Veneto devastata dall'Italia, non dall'indipendentismo"
Prendiamo innanzitutto atto del fatto che egli boccia in un colpo non solo l'indipendenza, ma qualsiasi forma di autonomia. Infatti, riferisce candidamente di saper bene che la Regione in un quinquennio è passata dalla gestione di un miliardo di euro a poco più di 40/50 milioni ma - afferma ineffabile - "la Regione deve coordinare". Ma nel suo precedente intervento non aveva forse Zuccato parlato di necessità di "maggior federalismo" (federalismo mai esistito se non nella sua fantasia)? Ebbene, se la Regione deve solo coordinare, qualsiasi forma di autonomia, anche la più asfittica, è sepolta per sempre. Dunque, Sua Confindustria non è solo in aperto conflitto con gli interessi delle imprese venete, ma persino con le proprie recenti dichiarazioni. O meglio: nessun conflitto. Egli getta la maschera e mostra la sua vera visione delle cose. Il popolo veneto non esiste. Non esiste il diritto di questo popolo di autogestirsi sia in termini politici che in termini finanziari.
Contrariamente a quanto accade nei Paesi più progrediti del mondo, dove solo il principio di autogoverno genera benessere e democrazia, egli propugna un modello di sudditanza spaventoso, dove uno Stato fiscalmente oppressore, dedito al mantenimento di un apparato statale che non ha eguali nel mondo occidentale, nel quale vivono almeno quattro regioni saldamente controllate dalla criminalità organizzata, gravato da un mostruoso ed insanabile debito pubblico, è legittimato a rapinare Regione e Comuni di tutti gli averi, a centralizzare tutto in favore di una spesa fuori controllo.
Il dato che i Veneti da un miliardo si autogestiscano 40 milioni di euro dovrebbe scandalizzarlo, spaventarlo, indignarlo. Il dato dei 21 miliardi di residuo fiscale che questo popolo oppresso versa nelle casse di un aguzzino dovrebbe cavargli il sonno ed indurlo a spiegare ai propri iscritti come porre rimedio a questa emorragia. Ed invece invita a gioire delle catene ai polsi ed alle caviglie, della rapina fiscale del 70%, della fama terribile dell'Italia nel mondo. E perché? Perché, in perfetto stile socialista reale, si deve confidare nelle "magnifiche sorti e progressive" che l'ennesimo italico governo, con i suoi provvedimenti-propaganda, promette. Insisto: se non fosse drammatico, se non provenisse da chi pretende di rappresentare l'impresa veneta, ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate.
E che dire dell'ottuso ritornello dell'isolamento dall'Europa al quale porterebbe l'indipendenza? Abbiamo invano invitato il signor Zuccato ad un confronto pubblico sul punto. Nulla. Solo slogan. Il Veneto indipendente si aprirebbe all'Europa, liberandosi dei lacci che l'appartenenza a questo screditato Paese comporta. L'indipendenza è più Europa, più Mondo, più cosmopolitismo, meno chiusura, meno provincialismo. Ecco, questa è la parola corretta: provincialismo. L'Italia è provinciale. Non è un caso se chi può invia i figli a studiare all'estero, proprio dove prosperano federalismo ed autonomia. Il Veneto italiano è provinciale, sia in senso geografico che culturale. Chiunque esca dai confini lo sa perfettamente. E poi l'Italia, oltre a sfruttarci all'osso, ci disprezza (vedi Toscani).
Replichiamo al signor Zuccato che l'immagine del Veneto è devastata dall'Italia, non dall'indipendentismo. I film su servette ed ubriaconi veneti sono la costante italiana almeno dal dopoguerra in qua. Ed il Veneto non è solo l'origine contadina che piace a Zuccato. Per millecento anni di storia fummo una fucina di economia e cultura, arte e diritto, politica e diplomazia; un faro nel mondo occidentale, cosmopoliti per vocazione ed antonomasia. Ora siamo ciò che siamo dal 1797 e, tragicamente, dal 1866. Chiediamo ancora una volta a Confindustria, nonostante Zuccato, che si sforzi di aprirsi al confronto e di comprendere la realtà veneta, anziché ritagliarsi il patetico ruolo di fossile della Storia e della politica quale ormai vieppiù appare”.