TREVISO - Un’ondata di richieste di ammortizzatori sociali sta montando dalle aziende trevigiane, grandi e piccole. A fotografare la drammatica situazione produttiva e occupazionale è la CGIL di Treviso rilevando che, alla data di giovedì 19 marzo, ben 1.209 realtà del territorio provinciale hanno chiesto l’accesso alle diverse forme di ammortizzatore sociale (Cassa integrazione ordinaria e in deroga, Fondo Integrazione Salariale dell’INPS, TIS, integrazione al reddito erogata dagli enti bilaterali) per una platea complessiva di 22.742 lavoratori. La ricognizione del Sindacato rosso riguarda tutto il sistema produttivo della Marca. A soffrire più di tutti è l'artigianato: sono, infatti, circa 900 le aziende locali che hanno avanzato la richiesta di attivazione degli ammortizzatori sociali per i propri dipendenti, ben 8.500. È il “cluster” più rilevante ad oggi. L’altro è quello dell’industria metalmeccanica, le realtà di grandi dimensioni, con 7mila lavoratori coinvolti per 140 fabbriche trevigiane. Gambe all’aria il “fragile” mondo della cooperazione sociale, il drammatico dato conta 25 realtà del territorio a soffrire per una platea di circa 2mila dipendenti. Contraccolpo anche per il chimico, che unito al già “grande malato” settore tessile, vede 30 aziende a richiedere l’accesso alla cassa integrazione e ad altri strumenti di sostegno al reddito per 1.730 lavoratori. Crisi nel legno: richiesti ammortizzatori per quasi 1.300 lavoratori da 15 aziende del segmento. Nel comparto dei trasporti poi 25 imprese hanno chiesto ammortizzatori sociali per 1.256 addetti, buona parte dei quali operanti all’interno dello scalo aeroportuale della Marca. Con una decina di imprese in difficoltà, per 350 lavoratori coinvolti, frenata nell’edilizia che stava rivivendo una nuova primavera. Situazione di stallo anche per le agenzie di somministrazione, sono dieci ad aprire il fronte degli ammortizzatori per 154 lavoratori. Se non ci sono grossi contraccolpi nella cartotecnica è il mondo dello spettacolo, cinema e teatri, a soffrire e non poco: sono 7 tra questi a chiedere accesso alle forme di sostegno per 74 addetti. Nel sistema della formazione a pagare l’emergenza sono le scuole private, ben 14 avanzano domanda di accesso per 73 lavoratori. Regge, per le ragioni di necessità degli approvvigionamenti dei generi alimentari, la produzione e l’industria del primario. Appena 3 ditte hanno chiesto ammortizzatori per 55 dei loro dipendenti.
Non ancora misurabile quello che si presume essere il più sofferente tra gli organi del sistema economico della Marca trevigiana, ovvero turismo e commercio.
“Il Decreto del Governo, prevedendo la possibilità di accesso ai diversi ammortizzatori sociali, ha dato la possibilità alle imprese di mettersi in sicurezza, dal punto di vista economico e occupazionale-produttivo, in attesa di superare l’emergenza. Le risorse dalle quali si attinge per erogare queste forme di sostegno e integrazione al reddito sono in parte già accantonate dal sistema previdenziale, ovvero dalle quote versate all’INPS dai lavoratori, e da parte degli enti bilateriali dei diversi settori – spiega Mauro Visentin, segretario generale della CGIL di Treviso –. Questi sono solo i primi dati, già molto preoccupanti, ma i numeri cresceranno esponenzialmente nelle prossime settimane. Oggi è fondamentale che il nostro sistema regga, per poi rimettersi in piedi. Gli ammortizzatori sociali sono il nostro antibiotico – sottolinea il leader della CGIL trevigiana –. Questa che stiamo vivendo, drammaticamente sotto il profilo sanitario, umano e delle libertà individuali, è una fase di stop generale, non particolare di un singolo comparto. Una brusca frenata che porterà con sé gravi perdite dal punto di vista del lavoro e della ricchezza complessiva. Possiamo solo auspicare – conclude Mauro Visentin – che, dopo la malattia e la convalescenza, sia veloce la ripresa e che si torni in forma meglio di prima, perché – aggiunge Visentin – ogni crisi porta anche dei risvolti altri che dobbiamo mettere a frutto: la solidarietà, la capacità di fare rete, di rivedere il nostro sistema di approvvigionamento interno, il valore del lavoro, la possibilità di sfruttare ancora di più e meglio e di strutturare le tecnologie nei metodi di contatto e di lavoro. Tutto questo per costruire un sistema più stabile e più competitivo, ma anche più equo e solidale. Sennò la lezione non ci sarà servita a nulla”.