TREVISO - Per il combinato disposto dei due DPCM dell’11 e 22 marzo scorsi, sono 14.230 le imprese artigiane trevigiane che alla mezzanotte di ieri hanno chiuso i cancelli. Un numero che corrisponde al 62,6% del totale artigiano della Marca Trevigiana (pari a 22.722), che si somma alle 62.876 realtà produttive dello stesso comparto distribuite nelle altre 6 province venete per arrivare ad un complessivo di 77.106 ( il 61,1% del totale in Veneto pari a 126.145).
Il dato riferito agli addetti che si trovano a casa dal lavoro è di 36.535, il 58,5% del totale dell’artigianato trevigiano. Unitamente agli altri 151.400 veneti, ingrossano un esercito di 187.935 addetti (dipendenti ma anche titolari soci e collaboratori).
“Il momento è davvero complesso e complicato, ulteriormente appesantito dai tempi stretti tra la pubblicazione dei decreti e la loro entrata in vigore. Insicurezza e incertezza sono le variabili dominati che rischiano di compromettere oltre alla tenuta del sistema economico, anche quella del tessuto sociale. Non dimentichiamoci che in un’impresa artigiana tutti i componenti, dall’imprenditorie all’apprendista sono anelli di un a stessa catena e se la maglia si allenta le criticità si ripercuotono su tutti.
Chiediamo che vi siano ingenti stanziamenti dedicati a integrazione degli esistenti, per sostenere le imprese. Ad oggi in Veneto sono state 6.700 le imprese che hanno aperto la procedura per usare FSBA tutelando 27.000 dipendenti, siamo già al 20% di aziende artigiane e loro dipendenti in cassa integrazione.
In provincia di Treviso sono 1800 i datori di lavoro che hanno attivato l’ammortizzatore sociale per salvaguardare 7.200 posti di lavoro. Si aggiungeranno a breve anche le richieste dei datori di lavoro edili artigiani che potranno attivare per 9 settimane, per i loro dipendenti, la nuova cassa integrazione Covid nazionale.
Un numero mai raggiunto nemmeno nella grande crisi del 2011/2013 e destinato solo ad aumentare a seguito della chiusura delle tante attività produttive non “indispensabili” e dall’impossibilità nel mondo dipendente artigiano, dove l’80% sono operai, di continuare a lavorare in modalità smart working.
Mai come in queste settimane tutte le rappresentanze del mondo del lavoro e dei sindacati devono giocare dalla stessa parte. La posta in gioco è alta: imprese e lavoratori sono interdipendenti.
Sin dagli inizi di questa straordinaria vicenda abbiamo anteposto salute e sicurezza a ogni altra cosa che nelle nostre realtà coincide con la salvaguardia della persona. Una specifica esclusiva dell’artigianato perché le nostre aziende sono innanzitutto micro-comunità di persone, che animano e vivono nelle comunità. Un modello che ha fatto crescere la nostra provincia, che ha sempre assicurato la tenuta del nostro sistema sociale.
I numeri - Il combinato disposto dei due decreti legge dell’11 e 22 marzo scorsi hanno individuato i codici ATECO delle attività “strategiche” che possono continuare a lavorare.
In regione Veneto per il solo artigianato risultano chiuse, dalla mezzanotte di mercoledì 25 marzo 77.106 attività pari al 61,1% del totale artigianato. In provincia di Treviso 14.230 imprese pari al 62,6% del complessivo del comparto artigiano.
I settori maggiormente colpiti sono: l’edilizia (esclusi gli installatori di impianti che possono operare) con 7.041 aziende chiuse (oltre il 91,2% del totale), seguite dal comparto del benessere 2.158, dalla metalmeccanica con 1.999, il legno/arredo con 1.159, la moda 994, e l’artistico con 373 attività chiuse.
Sul fronte degli addetti che restano senza lavoro, nella Marca, le aziende artigiane lasciano a casa 36.615 persone tra dipendenti, titolari, soci e collaboratori familiari. In questo caso il settore più coinvolto in termini assoluti è sempre l’edilizia con 12.274 persone seguito dalla metalmeccanica 9.253, il legno 4.390, la moda 4.377, il benessere con 4.356, e 923 quelli che operano nell’artistico.