TREVISO - Le Cardiologia di Treviso e Castelfranco Veneto, dirette dal dr. Carlo Cernetti, grazie al coordinamento del dr. Luca Favero, delegato regionale GISE (Società di Cardiologia Interventistica), hanno attivamente partecipato e contribuito a un importante studio, il DUBIUS Trail, che ha consentito alla ricerca italiana di fare ancora scuola a livello mondiale e ridefinisce nuovi standard di trattamento e prognosi della forma più frequente d’infarto, quella in cui l’arteria non è completamente ostruita (NSTEMI).
“Grazie a questo studio, presentato al recente congresso online della Società Europea di Cardiologia - spiega il dr. Cernetti - abbiamo dimostrato che una strategia invasiva, entro le 24 ore dall’evento e con approccio radiale (dal polso) incide sui risultati più di quanto faccia la tempistica della terapia farmacologica e rende superflua l’annosa discussione sulla necessità di un trattamento antiaggregante a monte (tutti i pazienti) o a valle (trattamento selettivo) della rivascolarizzazione. In Italia ogni anno sono colpite da infarto subendocardico 80.000 persone, di queste 52.000 vengono sottoposte a stent coronarico”.
Un aspetto molto importante consiste nel fatto che si tratta di uno studio spontaneo e indipendente, iniziato nel 2015, valutato e autorizzato da AIFA, patrocinato e finanziato dal GISE e condotto, sotto la guida di Giuseppe Tarantini (Direttore Cardiologia Interventistica dell’Università di Padova e Presidente Nazionale di GISE) e di Giuseppe Musumeci (Direttore Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino), in 30 centri d’eccellenza, distribuiti in tutta Italia. Il DUBIUS è stato simultaneamente pubblicato su JACC, Journal of the American College of Cardiology, la più importante rivista mondiale di cardiologia.
“Grazie a questo studio, a cui le Cardiologie di Treviso e Castelfranco Veneto hanno dato un contributo molto rilevante – sottolinea Cernetti -, abbiamo individuato la strategia di trattamento farmacologico più efficace e sicura nelle fasi che precedono la coronarografia, l’angioplastica coronarica e il bypass aorto-coronarico. Era necessario valutare in modo rigoroso le implicazioni cliniche dell'approccio farmacologico più comunemente utilizzato, il cosiddetto pretrattamento che viene applicato a tutti i pazienti fin dal primo sospetto diagnostico di infarto. Il DUBIUS lo ha confrontato con una strategia selettiva, basata sulla somministrazione di un antiaggregante solo dopo la certezza della diagnosi ottenuta dalla coronarografia. Con i risultati del DUBIUS si potrà evitare, a circa 80.000 pazienti l’anno – prosegue Cernetti , una somministrazione a tappeto di potenti antiaggreganti prima della coronarografia, con una riduzione di potenziali effetti collaterali e notevoli ricadute sull’appropriatezza delle cure. Pensiamo a chi, in corso di infarto NSTEMI deve sottoporsi a bypass coronarico (circa 6%) o a quelli che dopo la coronarografia non hanno confermata la diagnosi d’infarto, ben il 15%.
Al momento i tempi di attesa nel caso di bypass, per chi ha avuto un precedente trattamento antiaggregante sono di 5-7 giorni. Giornate che il paziente trascorre in ospedale, aumentando rischi di complicanze e costi di gestione. Tempi che, se il paziente non è stato pretrattato, possono essere quasi azzerati. In tempo di Covid-19 un risultato ancora più prezioso per la pratica clinica”.
“A distanza di circa 20 anni dal celebre studio GISSI, – affermano il prof.Tarantini e il primario Cernetti - la Cardiologia Interventistica italiana (GISE) si distingue a livello internazionale per una sperimentazione clinica in grado di influenzare le pratiche di trattamento dell’infarto a livello europeo grazie ad una stretta collaborazione tra la Università e rete Ospedaliera.
“Il DUBIUS – concludono il dr Cernetti e il dr Favero - conferma che, sull’infarto, l’Italia è best in class, con risultati che riducono gli eventi avversi a meno della metà rispetto al resto del mondo: 2 su 100 trattati contro i 7 a livello globale. Ci rivela, inoltre, che la ricerca e la pratica clinica nel nostro Paese sono davvero in ottima salute, forse migliore di quanto a volte siamo portati a pensare e di cui dobbiamo essere tutti fieri”.